martedì 10 gennaio 2012

Carovana di Pace nei Balcani 2009
     
      Progetto “Carovana di Pace nei Balcani” 2009




La Carovana di Pace nei Balcani ha coinvolto Operatori di Pace - Campania, peace-keeper civili professionisti dotati di qualifica FSE della Regione Campania per operatori di pace, e partecipanti al corso di formazione alla gestione dei conflitti ACHIEVE (Alternative Conflict Handling to Inhibit Emergencies and Volunteering Empower) nell’ambito dei Bandi Formazione del CSV Napoli.
La Carovana ha sviluppato una esplorazione, tra il 5 e 19 agosto 2009,  tra la Serbia, la Bosnia e la Croazia, dei luoghi del post-conflitto della ex Jugoslavia, allo scopo  di maturare conoscenza e sviluppare rete con realtà  di società civile di pace in loco, con l’obiettivo di promuovere partenariati  e verificare la fattibilità dell’insediamento di Corpi Civili di Pace, in linea con l'elaborazione dei Tavoli dedicati, il Tavolo Interventi Civili di Pace e IPRI - Corpi Civili di Pace.

 


Bibliografia  sul lavoro culturale per la trasformazione dei conflitti  

.Allport G. W., La natura del pregiudizio, Firenze, 1973
.Aluffi Pentini A., La mediazione interculturale: dalla biografia alla professione, Milano, 2004
.Avruch K., Black P.W., The Culture Question and Conflict Resolution, Uppsala, 1991
.Bauman Z., Vita liquida, Roma-Bari, 2006
.Benedict R., Modelli di cultura, Milano, 1960
.Burton J., Dukes F., Conflict: Practices in Management Settlement Resolution, New York, 1990
.Capitini A., Il potere di tutti, Firenze, 1969
.Castelli S., La mediazione. Teorie e tecniche, Milano, 1996
.Cirese A. M., Cultura egemonica e Culture subalterne, Palermo, 1973
.Clarck H., Models for Civilian Intervention, Uppsala, 1994
.Dal Lago A., Guerre e Conflitti dopo l’ 11 settembre, Verona, 2003
.Deutsch M., The Resolution of Conflict: Constructive and Destructive Process, Yale, 1973
.Drago A. (a cura di), La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Torre dei Nolfi, 1997
.Fiorucci M., La mediazione culturale: strategie per l’incontro, Roma, 2000 
.Galtung J., Conflict Transformation by Peaceful Means, Ginevra, 1998
.Galtung J., Uscire dal circolo vizioso tra terrorismo e terrorismo di stato, Roma 2002
.Jahoda M., “I rapporti tra le razze: interpretazione psicoanalitica”, in: Mason P., 1962
.Kymlicka W., Le sfide del multi-culturalismo, Bologna, 1997
.Lederach J. P., Building Peace. Sustainable Reconciliation in Divided Society, Tokio, 1994
.Lederach J.P., Preparing for Peace: Conflict Transformation Across Cultures, Syracuse, 1995
.Nirenstein F., Il razzista democratico, Milano, 1990
.Schirch L., Civilian Peacekeeping, Uppsala, 2006
.Tentori T., Il rischio della certezza. Pregiudizio, Potere e Cultura, Roma, 1987
.Todorov T., La conquista dell’America. Il problema dell’ “altro”, Torino, 1992
.Vattimo G., La società trasparente, Torino, 1988

                   
Introduzione

Tra le numerose modalità attraverso le quali si può esplorare e percorrere il “sentiero della pace” vi è certamente quella del “contact” (o “network”) building, vale a dire la costruzione di contatti e la realizzazione di reti. Tale modalità consiste nello sviluppo, nella ricerca e nel consolidamento di una serie di contatti chiave funzionali, in primo luogo, alla conoscenza delle realtà di pace attive nei contesti-obiettivo e, di conseguenza, alla verifica di fattibilità in ordine alla costruzione di ipotesi di attivazione e di partenariati. Il tutto, essenzialmente, allo scopo di consolidare tali realtà di pace attive in loco quali autentiche capacità locali di pace (“Local Capacities for Peace”), in linea con le indicazioni provenienti dal progetto e dalla metodologia “Do No Harm” che, nella elaborazione originaria di Mary Anderson, recava la medesima denominazione.

Link: 

eplo.org/wp-content/uploads/2015/01/EPLO_Statement_Collegare_Peacebuilding_e_Sviluppo_February-2011.pdf


La premessa ...

In tale scopo, sono contenute insieme, la premessa ed il traguardo dell’azione, intendendo utilizzare, per la prima volta ai fini dei nostri scopi, il lessico proprio della nonviolenza alla quale la Carovana di Pace, attraverso l’applicazione degli approcci della trasformazione positiva, si informa. La premessa consiste nell’ articolare, rafforzare e promuovere (nel senso dell’ “empowerment”, vale a dire “capacitazione”), dentro le cosiddette “local capacities for peace”, le altrettanto importanti “peace constituencies”, vale a dire quegli “enzimi di pace”,  costitutivamente presenti anche dentro le società post-conflitto, capaci di attivare o orientare il dibattito pubblico verso una più matura e conseguente consapevolezza di pace ovvero di ri-pristinare e ri-attivare processi di educazione civica e ri-costruzione della fiducia (“confidence building”) necessari al lavoro di trasformazione positiva (costruttiva) dei conflitti. 


... e il traguardo

Il traguardo è ugualmente ambizioso, dal momento che richiede a tutti gli attori impegnati di provare a promuovere una vera e propria “infrastruttura di pace”, luoghi di relazione e canali di attività orientati alla ripresa del dialogo, della fiducia e della collaborazione sociale nelle realtà lacerate e divise dall’insorgenza del conflitto. La realizzazione di questa “infrastruttura di pace” non può limitarsi al semplice, seppur importante, “intervento civile di pace”, ma deve provare a consolidare, con le realtà del partenariato locale, un vero e proprio Servizio Civile di Pace, magari articolato in forza dell’azione di preparati e professionali Corpi Civili di Pace. Si tratta di una “rete per il peace-building”, capace di attivare la leva della trasformazione nonviolenta, mediante la proposta di azioni diversificate e integrate, quali: “empowerment”, “confidence building” (costruzione della fiducia), peace education (educazione alla pace), HR monitoring (monitoraggio dei Diritti Umani) e, fondamentalmente, “capacity building” (“costruzione” della comunità locale attraverso il rafforzamento delle capacità esistenti, come illustrato dalle applicazioni riferite alle cosiddette “Tecnologie per l’accesso e per l’autonomia”). 

Link:

unife.it/centri/cooperazione-sviluppo/didattica/corso-modulare-in-cooperazione-allo-sviluppo/offerta-formativa-di-ateneo-sulla-cooperazione-allo-sviluppo/modulo%20ing

 

L'antefatto

Lo spirito della ricerca-azione è quello che proficuamente ha mosso il progetto nella direzione del “fare rete” per orientare il cambiamento positivo, cioè una trasformazione nonviolenta dei rapporti sociali nel contesto-obiettivo, tale da consentire la realizzazione di un ambiente civile, sociale e culturale adeguato ad accogliere la proposta nonviolenta della ricostruzione del dialogo e del superamento delle ostilità tra le parti concorrenti. In questo senso, la Carovana ha raccolto il mandato fatto proprio da una delle reti della comunità degli Operatori di Pace - Campania, vale a dire l’Associazione “Italian Peace Research Institute (IPRI) - Rete Corpi Civili di Pace (CCP)”, allo scopo di “conoscere per comprendere” e di “comprendere per trasformare”: entrando nel contesto, certamente, “in punta di piedi”, ma sviluppando quella “ownership” (aderenza ed appropriazione) necessaria a introdurre il discorso/prassi del cambiamento nonviolento, nonché veicolando un’ipotesi di lavoro al tempo stesso impegnativa e continuativa, al fine di rendere tale attivazione non episodica (né tanto meno evenemenziale) ma adeguata al contesto (nonché capace di auto-sostenersi, sedimentare e trasferirsi).

Link: reteccp.org


Il personale ed i presupposti

La Carovana trae forza da alcuni progetti-piloti già sperimentati e il cui esito positivo ha costituito una premessa decisiva ed una condizione necessaria ai fini di questa ulteriore implementazione. Intanto, il corso di formazione alla gestione e trasformazione dei conflitti e delle controversie A.C.H.I.E.V.E. (Alternative Conflict Handling to Inhibit Emergencies and Volunteering Empower), dal quale provengono due (su cinque) partecipanti alla missione e nel cui ambito è nata l’ipotesi della Carovana medesima, come istanza di  sperimentazione “sul campo” delle “lessons learned” (lezioni acquisite) nella materia, complessa ed affascinante, della trasformazione dei conflitti. Inoltre, il progetto di Servizio Civile di Pace a Castelvolturno, in provincia di Caserta, (SCPC) in cui l’attivazione locale, nel senso della ricostruzione del legame civico, della fiducia inter-comunitaria e del tessuto di mediazione con l’altro e la/le diversità (ad es. i migranti del luogo), è servita come verifica per l’insediamento di un’azione civile di pace strutturata in ambito territoriale e per la declinazione del discorso delle “sentinelle di pace” nelle modalità in presenza locale. Infine, il progetto S.A.R.A. (Social and Anthropological Roma-focused Action-research), che ci ha fornito gli strumenti della ricerca-azione, la metodologia della cosiddetta “osservazione partecipante” e la consapevolezza del profilo antropologico - culturale delle cosiddette azioni di pace “community based”, cioè fondate nella comunità ed improntate a radicamento e aderenza.

Link: operatoripacecampania.it


Le ipotesi retro-agenti

La preparazione dell’intervento-carovana è stata molto articolata. Intanto, la stessa composizione del programma fornisce un’idea della sua articolazione e un profilo della sua impostazione: dall’idea iniziale ruotante intorno all’osservazione partecipante nell’ambito del folk-festival di Guča (Serbia), in continuità con l’esperienza sviluppata nel contesto di implementazione di S.A.R.A. a Le Saintes Maries de la Mer (Camargue, Francia), all’orientamento definitivo mirante all’esplorazione dei luoghi culturalmente e socialmente rilevanti del post-conflitto balcanico (Kragujevac in Serbia e Sarajevo in Bosnia, piuttosto che Pale e Banja Luka a cavallo della Republika Srpska). Quindi, si è inteso offrire un quadro di progetto compiuto, attraverso la rassegna dei contatti da intraprendere e successivamente consolidare, affinché la strategia di “contact building” potesse intervenire sia nel senso dell’attivazione di società civile sia in quello di interlocuzione con le realtà istituzionali (le UTL italiane a Belgrado e Sarajevo, il sindacato della Zastava a Kragujevac, l’ADL a Prijedor e, tramite questa, a Mostar, il campo AGESCI a Sarajevo ed il “Teatro dei Burattini” e per ragazzi ancora a Mostar). Infine, si è mantenuta viva la dimensione del “processo” insieme a quella di “prodotto”, curando il “team building” interno al gruppo di missione, in virtù della eterogeneità dei suoi componenti e della flessibilità dell’articolazione stessa del percorso, consentendo, ad esempio, itinerari parzialmente diversi, come vedremo, pur nella conferma delle tappe salienti registrate nel crono-programma di progetto.




Pronti ...   via!

La partenza è, insieme, composizione delle istanze preliminari della implementazione e celebrazione, per dirla con Todorov, del “rinvenimento” del nuovo, dell’altro e del diverso. Sul progetto della Carovana di Pace, si sono conseguiti due patrocini, quello del Comune di Napoli e quello dell’Assessorato alla Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Campania, nel quadro della legge regionale 22 del 13 agosto 1986 sugli scambi culturali internazionali. Il tutto in relazione al carattere socio-culturale e al portato internazionalista della missione che ci si accinge a portare a compimento. In questo senso, l’intero gruppo di progetto è preparato ad affrontare la diversità con spirito di apertura e di conoscenza, dal momento che si tratta di una missione di relazione e di esplorazione, ma anche con animo di confronto ed approfondimento, dal momento che si tratta anche di valutare le condizioni operative e strategiche per un impegno di più lungo periodo nell’area scelta, funzionale all’implementazione di veri e propri Corpi Civili di Pace locali. L’esercizio del superamento del cosiddetto “condizionamento etno-centrico”, insieme con l’attitudine al “cultural based” peace-building, costituiscono i fattori egemoni di una missione di verifica di fattibilità per il ripristino di condizioni di fiducia basate sull’incontro trans-culturale e l’effettiva ri-umanizzazione dell’altro, in termini anche di de-traumatizzazione e re-integrazione. 



La porta dei Balcani

L’impostazione flessibile della Carovana di Pace nei Balcani consente quella “esplorazione molteplice” adatta a fare scorgere le diverse sfaccettature dell’universo di pace, comunque presente nella realtà balcanica, da una quantità impressionante di punti di vista diversi. Il che si rivela vero sin dall’approdo, nel momento in cui quattro dei partecipanti alla carovana scelgono di entrarvi attraverso la “porta del Nord”, Budapest, mentre la quinta partecipante sceglie, per così dire, la sua “porta naturale”, Trieste, città di incontro e crocevia per eccellenza. Ciò consente, come ovvio, due angolature e due prospettive in partenza molto singolari: la prima più adeguata a porre in luce i Balcani in tutta la loro ricca complessità, da Budapest a Sarajevo, passando per Belgrado, giusto per citare solo le capitali; la seconda, più efficace invece nel rivelare i cosiddetti “snodi di attraversamento”, Trieste quale crocevia di popoli, culture e passaggi, il confine nord-orientale quale limes per eccellenza, carico di storia e di storie.


Budapest, intanto

Budapest, intanto. La Carovana vi si ferma il primo giorno, ospiti in un appartamento a due passi dalla stazione ferroviaria principale. Budapest appare, contemporaneamente, città di cultura, di turismo e di memoria, che sa alternare, come molte città dell’Est europeo, un centro monumentale sfarzoso e ricchissimo, ad una periferia popolare, insieme con i quartieri limitrofi la stazione, in pieno stile real-socialista. Budapest, oggi, è però anche altro: capitale di uno Stato morso profondamente dalla crisi economica e finanziaria internazionale, in pieno default economico e commerciale, testimoniato perfino dall’inflazione galoppante e dalla impressionante svalutazione della moneta locale, che costringe a correggere a penna, al rialzo, perfino i prezzi indicati sui biglietti del bus. Una città, comunque, sempre splendida nella sua ambivalenza di una Buda remota e verde e di una Pest attraente e turistica; una città la cui anima è il Danubio, “fiume d’Europa”, per dirla con Magris, il cui corso getta ponti e attraversa i confini di tutta la Mitteleuropa, che la nostra stessa Carovana avrebbe poi seguito verso l’interno, via Novi Sad, fino a Belgrado, prima vera tappa dell’itinerario di pace.


Trieste, il limes, crocevia

Come Budapest, anche Trieste (Trst in sloveno) è città di storia e di memoria. Statuto speciale e porto mercantile dell’impero asburgico, è la porta d’Oriente per eccellenza, in un tempo ed uno spazio, simile all’oggi, in cui l’Oriente si fa, insieme, luogo importante e remoto, albergo di speranze e di paure. Se la tratta da Budapest a Belgrado via Novi Sad solca l’itinerario dell’antico e leggendario Orient Express, Trieste ha saputo storicamente interpretare in maniera ineguagliabile il suo ruolo di passante, e tuttora continua a farlo, tra gli universi mediterraneo, germanico e slavo. Attraversare la penisola in treno fino a Trieste e da lì in bus fino a Belgrado significa non solo “seguire” le rotte dei traffici economici e commerciali, ma soprattutto “addentrarsi” nell’anima slava multiforme e variegata, ripercorrendo le orme di Italo Svevo, Claudio Magris e Paolo Rumiz, scoprendo i Balcani “alle porte di casa” e le frontiere del Mediterraneo orientale come luogo di scambio, contaminazione, meticciato.



Scampoli di istanze multi-etniche

Serbia. La Carovana vi giunge il giorno 6 Agosto, in quattro, aspettando l’arrivo della quinta partecipante, in rotta su Trieste, per il giorno 8 Agosto, dopo un viaggio nella Serbia del Nord e, in particolare, nella Vojvodina, la “terra del rifugio” per i Serbi che vi si insediarono, sin dal XV secolo, per sfuggire agli attacchi da Sud dell’esercito ottomano. La Vojvodina è uno dei capoluoghi della Serbia multi-etnica, con la sua forte minoranza ungherese, seguita dalle comunità romena e rutena, e poi con lo splendore della sua capitale, Novi Sad, che però il nostro itinerario di pace fa appena in tempo ad intravedere. Così la Carovana riprende il treno: dopo il “deserto di Pannonia”, le vaste pianure steppiche della Vojvodina, ecco la “città bianca” accogliere la  nostra missione, dapprima Novi Beograd, quindi Beograd, una città stupenda, nella sua complessa stratificazione urbanistica tipo “hub”, per la sincera ospitalità dei suoi abitanti, per il carattere giovanile del suo stile cosmopolita. Appena giunti nell’Ostello della Gioventù, inizia subito l’esplorazione delle meraviglie, delle sorprese e dei tesori di questa sorprendente capitale d’Europa.

Link: beograd.rs/en/discover-belgrade


Belgrado e la memoria

Belgrado è “città della memoria” per eccellenza, segno iconico ed urbanistico della ricorsività delle memorie e della icasticità ed essenzialità dei vissuti personali e collettivi, basi per un lavoro di pace su cui costruire, pezzo dopo pezzo, le architravi della de-mistificazione degli immaginari, della depurazione dei ricordi e della de-traumatizzazione  delle comunità. Si tratta, a ben vedere, di istanze fondamentali della c.d. “IntegrAzione PsicoSociale”, quale vettore del superamento post-traumatico del conflitto. Basta percorrerne i luoghi salienti per averne chiaro un riscontro: i due edifici ancora sventrati dalle bombe, evidentemente poco “intelligenti”, della N.A.T.O. della primavera 1999, di fronte al Ministero degli Affari Esteri, le Ambasciate degli Stati Uniti e della Croazia addirittura murate, senza porte né finestre, ed il clamoroso Mausoleo del 25 Maggio (con la tomba di Tito, padre della Jugoslavia Socialista), luogo di celebrazione della memoria ed istanza della identità trans-nazionale, jugoslava, degli Slavi del Sud.

Link: assopace.org/index.php/cosa-faccimo/progetti/128-dialoghi-di-pace


La Cooperazione Italiana a Belgrado

A Belgrado la nostra Carovana tiene, il giorno 8 Agosto, il primo degli incontri previsti dal crono-programma di progetto, ai fini del nostro “contact building” mirato, con il personale della UTL (Unità Tecnica Locale) della Cooperazione Italiana (legge 49/1987) in Serbia e Montenegro. L’incontro non si sarebbe potuto tenere in posto più caratteristico e connotante della kafana (cafè o trattoria, per estensione) Knjezevic, al centro di Belgrado, e non sarebbe potuto essere occasione più felice per conoscerci, introdurre la Carovana alla realtà e alle dinamiche di contesto, e scambiarci le informazioni necessarie ai fini dell’implementazione del percorso progettuale, qui più che mai, non solo riferito al periodo di svolgimento della Carovana stessa, bensì anche orientato verso una sostenibilità di più lungo periodo, nell’ottica della promozione di Servizi Civili di Pace attivi nella trasformazione positiva del conflitto locale. Se tale contesto è oggi nel pieno di un vero e proprio processo storico e sociale di superamento del trauma del conflitto e di progressivo avvicinamento all’Unione Europea (basti pensare al varo della nuova Costituzione della Repubblica di Serbia del 2008 e alla stipula dell’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione, ASA, dello stesso 2008, primo passo del processo di adesione all’Unione Europea), è Belgrado stessa, la nostra essendo Carovana di “istanze” e di “città”, a rinnovarsi e rivitalizzarsi e la UTL ne segue il dinamismo e il fermento, accompagnando alcuni processi che ritiene strategici, tra cui l’internazionalizzazione del sistema delle PMI (Piccole e Medie Imprese) e la promozione di eventi sociali e culturali, come ad esempio la settimana internazionale della cultura partenopea e campana, in previsione nella primavera del 2010.

Link: skmbalcani.cooperazione.esteri.it/utlskmbalcani
 
 

 
L'impegno della UTL italiana in Serbia

L’UTL italiana a Belgrado si muove lungo due direttrici: il collegamento-ponte istituzionale tra l’Italia e la Serbia (nonché, per quello che riguarda la sfera della sua competenza istituzionale, il Montenegro e, nel margine riconosciuto della sua autonomia, il Kosovo) ed il supporto all’azione internazionale della società civile, intesa sia come Terzo Settore propriamente detto, sia come sistema delle PMI. L’UTL, pertanto, lavora soprattutto nel quadro dell’accreditamento e del supporto alle iniziative progettuali dei soggetti riconosciuti dal quadro normativo previsto dalla legge 49/1987 (disciplina generale della cooperazione internazionale), nonché nell’area della cooperazione e della solidarietà (internazionale) in generale e nell’ambito di misure specifiche di “confidence building” (che appunto prendono il nome, in sigla, di CBM, Confidence Building Measures), in linea con il contesto - quadro sancito dalla normativa comunitaria. In questa prima tappa, la Carovana di Pace consegue un primo risultato: si concorda il coinvolgimento nella settimana della cultura partenopea e campana a Belgrado della prossima primavera. Una opportunità di collegamento, orientato alla pace, tra realtà istituzionali e di società civile, interessante e promettente.

Link: iicbelgrado.esteri.it


Le strade del potere e della memoria

Anche Belgrado, infine, rappresenta, come Trieste e più che Budapest, un “crocevia”: insieme, il punto di approdo e il punto di transito. I contenuti dell’approdo sono noti: la stessa, cosiddetta, “strada delle ambasciate”, dov’è dislocata anche l’Ambasciata Italiana, denota intero il carico di ostilità, esclusione e separazione che resta inevitabilmente associato ai conflitti balcanici degli anni Novanta (soprattutto in riferimento ai conflitti con la Croazia del 1993 e con la N.A.T.O. del 1999, esemplarmente rappresentati dalla configurazione medesima delle ambasciate croata e statunitense); la “strada del potere”, che culmina nella Piazza della Repubblica, costituisce l’icona di una certa auto-consapevolezza nell’esercizio del governo, e porta intero il gravame di una storia nella quale l’elemento nazionale serbo si è sempre, a torto o ragione, ritenuto l’architrave del processo storico e della configurazione istituzionale degli Slavi del Sud; infine, il Mausoleo del 25 Maggio, ancor più che la stessa Tomba di Tito, è importante perché serba la memoria dell’unità dei popoli jugoslavi (ancora oggi, secondo recenti statistiche, l’8% della popolazione serba si definisce “jugoslava”) e della fraternità tra il popolo jugoslavo e i popoli del mondo, all’epoca d’oro del NAM (il Movimento dei Paesi Non-Allineati) e del cosiddetto movimento di Bandung (dal nome della Conferenza nella quale si celebrò la nascita del movimento terza-forzista, perché autonomo rispetto ai blocchi contrapposti, dei Non Allineati).

Link

euractiv.com/section/enlargement/news/serbia-seeks-to-regain-role-in-non-aligned-movement


Belgrado: _transit_

Poi, la Belgrado come punto di transito, per scelta, procedendo verso Sud, alla scoperta delle terre meridionali degli Slavi del Sud e della dimensione “meridiana” e
trans-culturale insieme, qui certamente presente e manifesta. Due le destinazioni alle quali si accinge la Carovana: la Serbia centrale, luogo storico della memoria e dell’identità, verso la quale si volgono due partecipanti, e Guča, capitale dell’esperienza popolare e folklorica, verso la quale procedono le restanti tre. Quest’ultima è, in particolare, una tappa sorprendente: sede del famoso Festival delle Trombe della Serbia, che ormai si tiene qui sin dagli Anni Settanta, è ormai certo un evento inflazionato come molti altri del genere, ma pur sempre interessante, nel suo darsi come luogo di folklore, raduno delle orchestre popolari e delle bande musicali Rom, istanza di ritrovo e mutualismo, pan-nazionale e nazionalista, e campo per un’ulteriore esplorazione etno - culturale significativa. Se non fosse, appunto, per la piega iper - nazionalistica del suo brand e dei suoi stand, tra bandiere monarchiche, inni e marce militari, saluti ostentati a tre dita e perfino revanche cetnica di ritorno.

Link: guca.rs/it


La Serbia Centrale, tra storie di leggende e di fate

La Serbia Centrale costituisce un itinerario poco battuto dal turismo di massa e dall’internazionalismo del “main-streaming”, e tuttavia molto interessante, per rendere efficace e comprensibile una compiuta esplorazione delle istanze di differenziazione e di convergenza tra i popoli e le comunità slave del Sud e, di conseguenza per una autentica e piena comprensione dell’anima culturale e del popolo serbo. Si tratta di una esplorazione chiave nel senso del “confidence building” e del “peace service”, se consideriamo che è proprio la tradizione nazionale e nazionalistica di una certa Serbia profonda ad inibire le pulsioni eurofile altrove presenti, e se ricordiamo che questa (la terra a crocevia tra Kragujevac, Kraljevo e Čačak) è la terra delle mille leggende di fate e di streghe della tradizione balcanica e delle mille battaglie dei popoli slavi contro gli Ottomani, che hanno profondamente plasmato la memoria di una cultura condivisa ed il senso di una identità nazionale profonda.

Link: wikipedia.org/wiki/Category:Serbian_fairy_tales


Belgrado ed oltre ...   In viaggio

Dopo avere esplorato una Belgrado sfavillante ed imponente, che ci affascina e ci suggestiona e che, ad oltre dieci anni dall’aggressione della N.A.T.O., sembra ormai essere consapevole del suo destino e pronta per nuove sfide in chiave europea ed internazionale (nel 2009 ha ospitato le Universiadi e conquistato  tre ori e tre argenti ai Mondiali di Nuoto di Roma), la “Carovana di Pace” divora la strada alla volta di una Serbia affascinante, aperta e verde, che ci sorprende e ci conquista. Un paesaggio verde fa da sfondo ad una urbanistica composta e ordinata, fatta di città e villaggi in sequenza, significativi e bellissimi, in una lunga teoria di templi (il complesso di S. Sava a Belgrado è spettacolare), chiese e monasteri patrimonio mondiale UNESCO dell’umanità, attraversati peraltro da un servizio bus efficiente e puntuale, una rete capillare e fitta di luoghi e scenari, arterie e veicoli, che attraversiamo a cavallo tra Belgrado, Kragujevac e Čačak, tra il giorno 9 ed il giorno 10 di Agosto.

Link: whc.unesco.org/en/statesparties/rs

 
Il sindacato in lotta, tra autonomia ed auto-determinazione

Domenica 9 Agosto si registra il secondo decisivo incontro della “Carovana di Pace”, quello con il Comitato Zastava e il Sindacato “Samostalni” della industria automobilistica (elettro-meccanica) Zastava a Kragujevac. E’ domenica, in pieno agosto. Ci accoglie una Kragujevac spettrale, in una mattina del giorno di festa silenziosa ed assolata, nello scenario tipico, peraltro, della città-fabbrica che così organicamente fa da sfondo ai panorami emergenti dall’epoca del socialismo realizzato (anche se nella variante offerta dall’autogestione jugoslava) e che porta con sé qualcosa di spettacolare e di affascinante. Qui, come altrove, tutto ruota intorno all’industria: dalla stazione dei bus all’adiacente stazione ferroviaria, in stile antico, con i binari contigui, che dà direttamente sulla linea ferrata e nella quale il tempo sembra essersi fermato all’epoca che fu, percorrendo poi a piedi il tratto che dà alla città, fino al ponte che conduce al centro cittadino, affastellato di ricordi dell’esperienza storica del Socialismo e memorie della Resistenza antifascista...


Link: spomenpark.rs/en


La Zastava, un patrimonio da salvare

La Zastava, a Kragujevac, è una fabbrica di dimensioni monumentali, tanto per il suo fascino architettonico, quanto per il suo significato sociale, in prospettiva culturale e “di pace”. Il fascino architettonico, intanto, è indubbio: un imponente edificio monumentale in stile tardo-ottocentesco ospita la Direzione centrale e racchiude un giardino interno costellato dai busti dei giovani eroi delle Brigate Partigiane, morti nella epica battaglia di liberazione dal nazi-fascismo. Il suo significato sociale è, altresì, tutto dentro l’idea della fabbrica come epicentro dello spazio urbano e motore della vita sociale: la fabbrica diventa così cuore di un sistema di rapporti sociali e fulcro di una “civiltà del lavoro” che fonda un’idea altra di relazione sociale e di individuazione di comunità, un tessuto di rapporti solidali basati sul lavoro e sulla condivisione e un’istanza di auto-determinazione materiale, in cui l’idea stessa della sicurezza viene ad essere declinata meno in termini di presidio militare che in ragione del benessere collettivo e dell’inclusione sociale, messa peraltro sempre più alla frusta dal morso della globalizzazione neo-liberista e dalla crisi economica generale.



Il morso della globalizzazione

Il volto della globalizzazione capitalistica e della azienda multinazionale è qui quello della FIAT, che dapprima, tramite la controllata Iveco, ha rilevato la Zastava Camion, al punto che oggi i camion Zastava hanno tutti marchio Iveco, e poi ha acquisito una intera filiera produttiva dell’industria automobilistica. Cosicché, residuano alla Zastava il marchio e il management locale del settore auto, mentre brand, direzione e progettazione finiscono col fare capo al Lingotto. Lo testimonia anche l’ultima linea di produzione, che vede protagonista una “Zastava 10” fedelmente ricalcata sul modello, a noi così familiare, della FIAT Punto. Finita l’auto-gestione produttiva, resta dunque la privatizzazione di interi comparti industriali, in un sistema ancora nominalmente ad economica mista, ma in cui sempre più minaccioso si fa lo spettro delle privatizzazioni e della disoccupazione. Tanto è vero che lo stesso accordo FIAT – Zastava è realizzato in joint venture con il governo centrale di Serbia e l’Agenzia per le Privatizzazioni rappresenta sempre più uno snodo decisivo della vita economica e finanziaria della Repubblica di Serbia.  


Non c’è pace senza giustizia, e giustizia sociale

Questo è il quadro, complesso e contraddittorio, entro il quale opera il Sindacato Samostalni, insediato all’interno del complesso industriale di Kragujevac. Non essendovi modo di tenere l’incontro pomeridiano ed essendo la nostra interlocutrice non disponibile, il nostro incontro di solidarietà si trasforma in un meeting solidale “virtuale”, per via telefonica. Illustriamo il profilo della compagine degli Operatori di Pace – Campania e la mission della Carovana di Pace. La Carovana può così portare il proprio saluto di pace, esprimendo solidarietà ai lavoratori e alle famiglie già duramente provati dai bombardamenti N.A.T.O., che qui si esercitarono con particolare virulenza ed intensità, indicando la possibilità di future ulteriori collaborazioni, alle quali del resto i lavoratori della Zastava sono niente affatto alieni. Si potrebbero ricordare alcuni interessanti precedenti, sulla falsariga dei quali la nostra Carovana ha tratto spunti ed indicazioni, come quelli del CNJ (Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia). D’altro canto, sostenere i percorsi dell’autonomia è una delle istanze cruciali per l’auto-determinazione ed a sua volta l’empowerment di comunità è uno dei luoghi decisivi per la ricostruzione e la riconciliazione, morale e materiale, nel post-conflitto.

Link: cnj.it


Pace e Lavoro, quale relazione

Il collegamento con l’esperienza di lavoro e di solidarietà della Zastava è indubbiamente molto caratterizzante ai fini dell’ implementazione del progetto della “Carovana di Pace”. Eminentemente, per tre motivi. Il primo: costituisce un fattore importante di radicamento (sedimentazione) e di appartenenza (aderenza), sia rispetto al contesto di provenienza, essendo Napoli gemellata con Kragujevac ed ospitando periodicamente i bambini e le bambine “orfani della Zastava”, sia rispetto al target di destinazione, costituendo la “solidarietà internazionale” di pace non solo un luogo consueto e decisivo dei percorsi di auto-determinazione e di riconciliazione, ma anche un vettore notevole e importante di costruzione di comunità, che lavora nel senso della capacitazione, del rafforzamento e dell’autonomia di una determinata formazione sociale. Il secondo: rappresenta un “punto di accumulazione” di solidarietà internazionale “peace-oriented”, mettendo in evidenza tutto l’interesse e la rilevanza della connessione che esiste tra tutela dei diritti sociali e promozione del processo di pace. Il terzo: istituisce un elemento di connessione importante nel senso del “contact” building e del “confidence” building a cavallo, appunto, tra autonomia sociale ed empowerment di comunità.

Link: sindikat-kragujevac.org.rs


L’evento-festa come spazio di comunità e di socialità

La dimensione di comunità sembra essere quella meglio attinente alla Serbia centrale, tra ritualità del folklore ed aderenza ad antiche culture, tramandate di generazione in generazione e radicatesi oralmente. Non a caso, in questo scenario, che si distende lungo il tragitto tra Kragujevac, Kraljevo e Čačak, si dispiegano simultaneamente il Festival di Guča e la Saga delle Tradizioni Contadine a Kraljevo e, in entrambi i casi, si tratta di scenari caratterizzanti e tipici, in cui l’elemento-festa si dispiega in tutta la sua valenza ideal-tipica ed in tutto il suo apparato connotativo. Esiste, d’altro canto, una Agenzia per la Democrazia Locale (ADL), avente la Serbia centrale come propria area di riferimento, proprio a Kraljevo, con l’obiettivo di promuovere la democrazia locale, sviluppare la partecipazione civica e consolidare l’attivazione giovanile, in territori storicamente vissuti e percepiti come limes e krajine, frontiera tra lo spazio cristiano ed il mondo musulmano, terra di confine e di battaglie, di difesa strenua dello spazio della propria oralità e della propria identità, nonché campo per epiche battaglie di santi ed eroi. Una terra, dunque, di mitologie nazionali e militari profondamente radicate, in cui la vulgata nazionalista tende ad erodere spazi e agibilità alla partecipazione democratica e alla trasformazione nonviolenta.

Link: alda-europe.eu/NewSite/lda_dett.php?id=2
 


 
Costruttori di ponti, Valicatori di muri

Il lavoro di ri-composizione civile orientato alla pace si mostra nei Balcani particolarmente complesso, proprio perché deve sfidare una sorta di “ambivalenza costitutiva” tra imbeviture di immagini del sacro e della guerra, che rendono la cultura dell’identità e del conflitto (e dell’identità basata sul conflitto) particolarmente radicata da queste parti; e, d’altra parte, profonde radici di comunità e tessuti di relazione, ricchi, articolati e profondi. Ecco perché, anche il lavoro promosso dalla “Carovana di Pace”, di ricognizione e di collegamento nell’ambito della presa di consapevolezza per un servizio civile di pace locale, è chiamato a confrontarsi con questa levatura della sfida: da un lato, demistificare il portato di violenza che tracima dalla cultura dell’identità nazionale, anche attraverso la scoperta dell’altro come con-simile e non come nemico, e quindi ri-umanizzando e de-traumatizzando le parti; dall’altro, sviluppare la comunità, consolidando le capacità locali per la pace e promuovendo libertà, democrazia e partecipazione. Appunto, costruendo ponti e valicando muri, come deve essere proprio dello spirito e della missione dell’operatore nonviolento di pace, nel profilo che ne disegnava Alexander Langer.

Link: alexanderlanger.org


Una tappa imprevista

In questo scenario-itinerario, Čačak è una tappa non prevista, tappa a sorpresa e, forse proprio per questo, particolarmente affascinante. La Carovana, infatti, sarebbe potuta entrare in Bosnia, direttamente, solo il successivo giorno 11 Agosto, di conseguenza non sarebbe stato possibile trovare alcun collegamento diretto, notturno, tra Kragujevac, passaggio del nostro precedente appuntamento di Carovana, e Pale, storica piazzaforte militare della Repubblica Serba di Bosnia, attraverso la quale avviare la nostra esplorazione del contesto bosniaco. In altri termini, si sarebbe trattato, a quel punto, di far slittare in  avanti, di alcune ore, il nostro crono-programma, definito prima della partenza, sia andando a registrare date ed orari dei diversi collegamenti città-città, sia andando a confermare i vari appuntamenti previsti, città dopo città, con i vari attori di pace interessati alla Carovana. L’ultimo piano-linee, d’altro canto, sembra fatto apposta per creare qualche imbarazzo: è stato ri-costruito passaggio dopo passaggio con gli operatori della locale, antica e bellissima, stazione ferroviaria di Kragujevac e minimamente corrisponde a quello precedente elaborato con l’ausilio degli operatori del servizio-bus locale. Tra antiche telescriventi e composta operosità dei laboriosi funzionari della splendida stazione ferroviaria locale, la Carovana si esercita dunque alla ricerca di una tappa intermedia alternativa, ed ecco spuntare Čačak, appunto. Media città della Serbia centrale, guarda verso il passaggio di frontiera di Užice e sembra costituire porta naturale dalla Serbia alla Bosnia, già solo in questo, affascinante e simbolica, carica di senso e di storia. Bus terminal per Guča, Čačak è una sorta di microcosmo locale, con una bella area centrale ed una sorprendente, non tanto quando vi si fa abitudine, alternanza di kafana tradizionali, banche, negozi.


 

Approdo in Bosnia

La Carovana di Pace entra in Bosnia. Sotto questo versante, dell’approccio trans-culturale nella dimensione borderline, l’attraversamento del confine tra Serbia e Bosnia è estremamente indicativo: intanto, per i punti di convergenza, tipici dei teatri internazionali del post-conflitto, i confini labili ed incerti, la “guerra delle bandiere”, ostentate dall’una e dall’altra parte, tali due parti essendo, in Bosnia, le cosiddette due (prevalenti) entità costituenti, vale a dire la Republika Srpska (Repubblica Serba di Bosnia) sul 49% del territorio e la Federazione croato-musulmana sul restante 51% di territorio. E poi ancora: il retaggio delle memorie divise e divisive e il carico di un passato che sembra così poco intenzionato a passare. Poi, per i punti di divergenza, la minore tenuta, qui rispetto che in Serbia, del quadro istituzionale ed amministrativo, le difficoltà normative ed operative nella gestione della questione dei rientri dei profughi e degli sfollati, la profonda instabilità politica e le permanenti pulsioni etno - nazionalistiche. Nonché l'assillante, talvolta asfissiante, presenza della Comunità Internazionale 



… Le distanze, reali ed immaginate …

La “Carovana di Pace” entra in Bosnia il giorno 11 Agosto, in due provenendo da Čačak, in tre, di ritorno da Guča, provenendo da Belgrado. Il nostro approdo in Bosnia avviene attraverso la striscia di confine segnata dalla Republika Srpska. Neanche il tempo di superare il posto di blocco ed il controllo dei passaporti, presidiato dalle bandiere “ufficiali” della Bosnia Erzegovina, ed eccoci entrare nel confine “amministrativo”, ma ben più che “immaginato”, della Republika Srpska. L’entità serba di Bosnia accompagna il viaggiatore in un tripudio di bandiere con i colori serbi, il blu, il rosso e il bianco, passando attraverso auto-stazioni di città serbe e una lunga teoria di caratteri cirillici. Al di là, dunque, della ri-costruzione ufficiale della Bosnia Erzegovina come Stato federale, comunque Stato, rientrato dopo la guerra del 1992-1995 nel consesso della Comunità Internazionale, è netta l’impressione, attraversando le varie ripartizioni amministrative della Bosnia, della permanenza di due entità/comunità distinte e separate, con memorie e storie diverse e configgenti, persino, apparentemente, con speranze ed ambizioni divergenti e non-conformi.

Link

balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/La-Bosnia-di-Dayton.-La-voce-degli-intellettuali-locali-26182


Come uno Stato nello Stato

In attesa di ri-costruire l’interezza della Carovana, con le altre unità di rientro da Belgrado, in rotta su Prijedor, nel Nord della Republika Srpska, il resto del gruppo si avvia all’esplorazione di uno dei luoghi simbolo del conflitto serbo-bosniaco in Bosnia, Pale, che domina, dall’alto dei monti nei quali è incastonata, la valle di Sarajevo, capitale bosniaca, e pertanto assunta come piazzaforte strategica e capitale militare (oltre che prima capitale istituzionale) di quella che fu la Republika Srpska del presidente Radovan Karadzic e del generale Ratko Mladic, il primo dei quali sotto processo ed il secondo ancora ricercato dal Tribunale Penale Internazionale per Crimini di Guerra nella ex Jugoslavia, l’importante quanto discusso tribunale ad hoc istituito dalle Nazioni Unite dopo la cessazione delle ostilità nei Balcani. Oggi Pale, dismessa la funzione di capitale amministrativa, è una delle capitali turistiche della entità serba di Bosnia, che ti accoglie alla vista dei 6x3, disseminati ovunque, della campagna del suo governo nazionale, all’insegna dello slogan “Republika Srpska senza dubbio”, enumerando le bellezze, peraltro numerosissime, paesaggistiche, naturalistiche e culturali, dell’entità serbo-bosniaca, senza, peraltro, fare minimamente allusione alla presenza del governo federale di Bosnia Erzegovina. Certo non solamente perché questo genere di questioni amministrative viene considerato, in virtù degli Accordi di Dayton, di competenza esclusiva dell’entità costituente; ma soprattutto perché dà il segno del grado di seperazione e di divisione che ancora si registra nei rapporti reciproci tra le diverse entità.

Link: studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20060807152724


Le masse degli uomini e il dolore della guerra

Cosa vuol dire, del resto, “affare interno” e “competenza esclusiva”, quando si parla di entità co-costituenti e se tutti, a parole, sono per il ri-congiungimento e la ri-conciliazione? Nei Balcani tutto, anche le parole, può avere un duplice significato o una valenza di ambiguità: non tutto ciò che si manifesta, è come sembra. Lo stesso, talvolta, si può registrare con il paesaggio. Se Pale ci sorprende per i suoi tesori paesaggistici e naturalistici incastonati, come un piccolo tesoro, sui monti dei Balcani occidentali, Prijedor ci affascina per la ricchezza dei suoi riferimenti storici e per la suggestione dei suoi luoghi di interesse paesaggistico. Prijedor è luogo importante della vicenda bosniaca e tappa decisiva della Carovana di Pace; per di più è lo spazio di una vera e propria “triangolazione” del conflitto bosniaco, dapprima quello serbo-croato del 1991-1993 (con i Croati che attaccano le città serbe di confine e vi sfollano gli espulsi, in territorio bosniaco, con la forza delle armi portate dalla micidiale e devastante “Operazione Tempesta” dalla Krajina); poi quello serbo-bosniaco del 1992-1995, tra le rivendicazioni contrapposte dei bosniaci, riferite alla integrità del proprio progetto indipendentista e separatista, e dei serbi, riferite all’esigenza inderogabile di accogliere anche i rifugiati serbi dalle altre guerre locali e dalle altre operazioni militari. Ultimo vertice della “triangolazione”, Prijedor è anche crocevia della riconciliazione possibile, luogo di rientri diffusi e di pratiche ri-conciliative importanti.

Link: ansa.it/nuova_europa/it/notizie/nazioni/bosnia/bosnia.shtml
 
 


L’Agenzia per la Democrazia Locale a Prijedor

L’incontro a Prijedor con la locale ADL (Agenzia per la Democrazia Locale) è tra i più significativi e rilevanti della “Carovana di Pace”, che finalmente si ricostituisce a questo punto nella sua configurazione di partenza. Intanto, perché ci mette a contatto con una esperienza europea di “capacity building” in loco; e poi perché ci consegna un quadro della situazione sociale in generale ed un primo approfondimento dello “stato di fatto” della riconciliazione possibile nella Bosnia del post-conflitto. L’ADL è, infatti, un programma del Consiglio d’Europa che ha come obiettivo quello di favorire, facilitare e sviluppare i processi di democrazia locale, partecipazione civica e “good governance” attraverso uno snodo di agenzie locali insediate sul territorio, sparse lungo tutta l’Europa centro-orientale, attraverso i 52 Paesi membri del Consiglio d’Europa, con una programmazione annuale dedicata alla promozione del processo democratico in ambito regionale. Le ADL sono raccolte insieme all’interno di una sorta di associazione contenitore, l’ALDA (Associazione delle Agenzie per la Democrazia Locale) e agiscono nei Balcani occidentali per opera di quattro presidi: Belgrado, Kraljevo, già ricordato, per la Serbia centrale, Prijedor e Mostar. L’attenzione della Carovana decide di focalizzarsi sui presidi bosniaci: il nostro contatto si sviluppa quindi a cavallo tra i presidi di Prijedor e di Mostar.

Link: alda-europe.eu


ADL e Progetto Prijedor

A Prijedor, ADL e Progetto Prijedor costituiscono tra le poche realtà inter-nazionali di fatto presenti in loco. Va detto, a tal proposito, che Prijedor ha rappresentato uno degli esempi negativi di pulizia etnica anti-serba tra i più violenti di tutta la Bosnia; tuttavia, attualmente, la situazione dei rientri è relativamente positiva, dal momento che tutti i serbi sono “formalmente” rientrati  (significa che per tutti è stato predisposto il piano e la destinazione di rientro, il che non significa che tutti effettivamente sono o sono potuti rientrare) e molti hanno avuto modo, grazie alle disposizioni legislative coordinate, di conservare anche le proprie abitazioni all’estero (lo stesso vale per i bosniaci musulmani in questo distretto della Republika Srpska, mentre non altrettanto può essere detto per i profughi serbi dalla Krajina croata in riferimento alle loro proprietà in Croazia). Anche la locale ADL lavora sulla base del principio cardine del “confidence building”, vale a dire la cosiddetta “equivicinanza”, lavorando, tanto in direzione dei serbo-bosniaci tanto in direzione dei bosniaci musulmani, in misura eguale, equanime e paritaria, senza limitazioni o discriminazioni di sorta e puntando, attraverso il “community building”, a favorire i processi di ri-conciliazione locale, che sovente seguono tempistica e dinamiche differenti rispetto ai processi di ri-conciliazione di carattere nazionale o su larga scala, perché più direttamente condizionati, in positivo o in negativo, dai fattori di vicinanza, comunanza e prossimità. Il che è reso ancora più difficile dalla estrema polivalenza e complessità del panorama bosniaco, tanto questo può risultare, insieme, esplosivo e frammentato.

Link: progettoprijedor.org


Ipotesi di impegno ed attivazione

L’ADL di Prijedor ha una storia intensa e coinvolgente. Già nel 1996, sotto embargo internazionale, viene fondata la “Casa della Pace”. Nel 1998 viene costituita, invece, l’associazione italiana “Progetto Prijedor” che decide di aprire materialmente l’ADL nel quadro di un progetto per la democrazia locale del Consiglio d’Europa. Nel 2000 l’associazione stessa si costituisce in ONLUS, aprendosi così alla possibilità di sviluppare e stringere partenariati e reti con analoghe realtà del cosiddetto Terzo Settore “di pace” (“peace-oriented”). Nel 2006 viene avviato il programma di ri-conciliazione con una delle assise più rappresentative della società civile di Bosnia, il cosiddetto “Forum Civico”, una rete di gruppi associativi, civici e solidali misti e “dialogue oriented”, attivando inoltre CBM (misure di confidence building) quali: partecipazione civica, democrazia locale, diritti umani, cittadinanza e progettazione. Si tratta delle ipotesi di attivazione proprie del lavoro di pace in ambito internazionalista, della cooperazione e solidarietà internazionale orientata al lavoro di pace, e al community building basato sul confidence-based approach
 
In tal senso, su questi presupposti, peraltro comuni sia all’attivazione del Progetto Prijedor sia a quella degli Operatori di Pace – Campania, si consegue un altro importante risultato: l'avvio di un partenariato con questi ultimi, nell’ambito della rete sociale del partenariato costituito dall’ADL di Prijedor (da formalizzare per l’anno 2010) e l’ipotesi di un coinvolgimento nel lavoro di rete trans-nazionale. Un ulteriore pista per una attivazione concreta, nel senso della pace. Una traccia di lavoro immediatamente percorribile viene illustrata, durante l’incontro con la Carovana, nella stessa sede di Prijedor: si tratta dei seminari di “Scuole di Pace”, luoghi condivisi per la sensibilizzazione sui temi cruciali del lavoro di ri-conciliazione, tra i quali libertà, democrazia, partecipazione, diritti, condivisione di bisogni e necessità delle giovani generazioni both-sided, appartenenti alle comunità maggioritarie co-costituenti.

Link: beyondintractability.org/essay/confidence_building_measures

 
Progettazione per la Pace

I progetti sociali, volti all’empowerment di comunità, intrapresi dall’ADL di Prijedor nel quadro della programmazione per il capacity building locale, possono essere compendiati nelle seguenti tre categorie:

1) facilitazione dei rientri degli sfollati di entrambe le comunità maggioritarie: in cinque comuni del distretto di Prijedor, ad esempio, sono state recentemente ricostruite cinquecento abitazioni su terreni concessi a titolo gratuito per consentire il rientro dei serbi da altri distretti della Bosnia e dalla Croazia;

2) affido a distanza: nel quadro della promozione progettuale effettuata dal Progetto Prijedor, sono state individuate trecento famiglie in Trentino che hanno intrapreso un percorso di aiuto di altrettante trecento famiglie bosniache del distretto di Prijedor; infine

3) il “Progetto Memoria”, che prevede la costruzione “bi-comunitaria” del Museo Civico del Trentino (a Rovereto) e del Museo Storico di Prijedor (a Prijedor) dedicati alla storia delle comunità (si tratta di un percorso di recupero della memoria volto a ricostituire su basi non violente e potenzialmente condivise le storie delle comunità).

Vi sono infine alcuni importanti collegamenti internazionali: la Provincia Autonoma di Trento a sostegno dell’ADL di Prijedor, come la Regione Puglia a sostegno della omologa ADL di Mostar (una sede ALDA di coordinamento è a Vicenza), ma anche il programma IPA-CBC Adriatico come il progetto comunitario INTER-REG in ambito UE. 

Link: alda-europe.eu

 

Banja Luka, piccola grande capitale

Trasferita a Banja Luka all’epoca della seconda presidenza della Republika Srpska (Biljana Plavsic), la capitale dell’entità costituente serba rivela, in pieno senso, carattere e contraddizioni dell’odierna configurazione sociale, politica ed istituzionale della Bosnia Erzegovina. Intanto, la città, con il suo profilo ed il suo carattere: splendida, ordinata, monumentale, anche se “in piccolo”, con la sua vlada (governo) e il suo palazzo presidenziale, il Monumento ai Dodici Bambini Morti durante l’assedio bosniaco ed i bombardamenti occidentali sulla città e la stele commemorativa della Resistenza partigiana titina, gloria della Repubblica ed ambizione di capitale autentica da Stato nello Stato. Poi, con la città, la sua dimensione di capitale e di centro istituzionale e culturale, e, nelle lapidi commemorative, la manifestazione permanente dell’orgoglio nazionale che anima larga parte della comunità serba di Bosnia.

Link: operatoripacecampania.it
 


 
Ripercorrere la storia e gli orrori

Il viaggio da Banja Luka a Sarajevo rivela agli occhi della nostra Carovana di Pace un’ “altra” Bosnia, quella del verde e delle valli, delle piccole città e dei villaggi diffusi, insieme ad una natura ancora, in gran parte, libera e suggestiva, fatta di boschi fitti e bacini fluviali (la Drina a Nord, la Neretva, fiume di mille leggende, a Sud), ma anche di memorie divise e rivisitazioni drammatiche delle recenti tragedie, nuove costruzioni ed aggressioni speculative al territorio, new house recentemente costruire per il ritorno di refugees e returnees e speculazioni edilizie a colpi di iper-mercati, mega-store, filiali, servizi, concessionarie, centri commerciali a più non posso. Sa Sarajevo è oggi così profondamente investita dal problema della espansione urbanistica e metropolitana, è in realtà tutta la Bosnia a sentire forte la necessità di un serio e vasta programma di protezione ambientale, di appropriazione dello spazio naturale e dello spazio pubblico e di difesa dell'ecosistema e del territorio. La presenza internazionale, dopo le contraddizioni prodotte anche nel senso della solidarietà e della cooperazione
istituzionale, sembra avere già lasciato il suo segno anche in quello della tutela del territorio e della protezione dell’ambiente naturale.

Link: viaggiareibalcani.it


Sarajevo

Sarajevo non è solo la città-martire, epigono della guerra di Bosnia e dell’assedio dei mille giorni, tra il 1992 ed il 1995, da parte delle truppe serbo-bosniache, che ne hanno lasciato, in diversi punti, sfigurato il volto e lacerate le strutture, ma è anche luogo simbolo e scenario indimenticabile di ricchezze culturali e di tesori architettonici. Le due città contrapposte di Sarajevo, non esistendo una sola Sarajevo, ma una Sarajevo propriamente detta in territorio federale croato-musulmano in regime di autonomia speciale e la Sarajevo Orientale (Istočno Sarajevo), città della Republika Srpska; il centro storico monumentale della Sarajevo bosniaca, Baščaršija, con la sua casbah, le vie traverse, la moschea ed il caravanserraglio; il tripudio di moschee integralmente ri-costruite (o edificate ex novo) dopo la guerra, talvolta con finanziamenti di fondazioni pubbliche e private del mondo arabo-islamico; ed ancora lo storico quartiere di Grbavica, cui la Carovana dedica un momento specifico di attenzione e di riflessione, uno dei quartieri teatro dei più intensi e violenti combattimenti tra le truppe bosniaco-musulmane e quelle serbo-bosniache, cui non a caso è stato dedicato anche uno splendido film (2006) con il sotto-titolo de “Il Segreto di Esma”. Infine, la valle di Sarajevo, contornata dalle “mille colline” nella quale la città è incastonata, solo apparentemente circondata e protetta, in realtà così drammaticamente fragile ed esposta, come dimostra anche la scelta, da parte della milizia serbo-bosniaca, di istruire una serie di piazzeforti proprio lungo le pendici e le sommità delle colline, al fine di tenere, durante l’assedio, la città sotto tiro.

Link: coop99.at/grbavica_website


La prima, fugace, impressione

La prima impressione di Sarajevo corrisponde a quella che, in parte, al nostro interno, si era già registrata durante il primo trasferimento della Carovana in terra bosniaca, da Pale (a Sud) a Prijedor (a Nord), dalla capitale militare alla capitale della ri-conciliazione, a cavallo tra due luoghi così assolutamente testimoniali del conflitto bosniaco. In quella circostanza, a meno di un’ora da Pale, si era entrati per la prima volta a Sarajevo, sconfinando il limite segnato dalle bandiere serbe ed accedendo così all’area della federazione croato-musulmana, sprofondando assiduamente nella vallata che ospita la città, circondata dalle colline che ricordano mille altri luoghi simili segnati dalla guerra e dalla violenza a sfondo etno-politico. Sono tutti luoghi lacerati dalla violenza e dalla devastazione, con quelle valli e quelle colline sempre tutte così apparentemente uguali, che espongono le città ed i villaggi al tiro dei cecchini, degli snajper, ed al bersaglio dei mortai e delle granate. Da lì, prima di proseguire verso settentrione, la “porta separata” è quella di Sarajevo Orientale, città serba, come spesso si dice, l’“altra Sarajevo”, ennesima testimonianza delle eredità del conflitto, fatte di separazione e divisione.

Link

www.mentecritica.net/radio-padanie-delle-mille-colline/informazione/cronache-italiane/ventopiumoso/7944

 

L’altra Sarajevo

C’è però anche un’altra “altra Sarajevo”. È la Sarajevo che non dimentica il suo passato, di antica capitale socialista, luogo di incontro e di meticciato, ancor più di quanto non lo sia oggi. Una città la permanenza del cui passato continua a stridere con le contraddizioni e le (vere o presunte) modernità dell’oggi. Scrive DF nel blog di Ernesto Assante, interessante fonte on-line: 


“Sarajevo, devono ormai saperlo tutti dopo le immagini passate in televisione, e’ adagiata in una vallata e scorre entro di essa lungo una striscia di più di una decina di chilometri, da un lato e l’altro del fiume Bosna, collegata da una linea di tram. Da un lato sta la vecchia Sarajevo storica, con la zona turca, la biblioteca, il teatro e la passeggiata. Dall’altra sta la Sarajevo espressione dell’edilizia socialista, alti edifici colorati allineati che la fanno apparire una specie di Legoland. Sulle alture che la circondano i quartieri residenziali e il villaggio olimpico, accanto al quale si trova la nuova, enorme e ben protetta ambasciata americana. Sarajevo si muove ad un ritmo diverso dal resto della Bosnia, un ritmo accelerato che appare in asincronia con i muri ancora bucherellati dalle pallottole, dagli edifici vuoti come scheletri di dinosauri. La passeggiata nel centro di Sarajevo fa apparire l’immagine di una città raggiante, con una gioventù onnipresente. E’ la Sarajevo di coloro che hanno il piede nell’ amministrazione internazionale, che ne dipende più o meno direttamente, o dell’economia sotterranea, dei traffici che si svolgono all’ombra della normalità. L’altra Sarajevo abita solo qualche metro più in là, già al mercato, dove fra sigarette di contrabbando e verdure di importazione si vende di tutto, ad ogni angolo della strada. In questa città come in nessuna altra parte della Bosnia nelle votazioni del 1991, prima che tutto diventasse irreparabile, gran parte della popolazione si era dichiarata fuori da ogni gruppo etnico e semplicemente bosniaca, appartenente ad un’unica umanità che hanno voluto distruggere. Questa unicità di Sarajevo che si è cercato di cancellare a colpi di sniper lungo la no-man’s-land segnata dal viale di scorrimento del tram, merita di non essere dimenticata, perché la guerra di ieri e l’indifferenza dell’oggi non devono cancellare la speranza di futuro di questa gente”.

Link: assante.blogautore.repubblica.it

 

Enigma Bosnia

La Bosnia - e Sarajevo al suo epicentro - è un enigma, un rompicapo, come molti altri contesti del post-conflitto etno-politico, proprio del nostro tempo, segnati da divisione e frammentazione. Nel duplice incontro (il 13 ed il 14 Agosto) con il personale della Unità Tecnica Locale (UTL) della Cooperazione Italiana a Sarajevo, emerge un quadro sufficientemente chiaro della complessità del contesto, dello scenario e degli attori (gli stakeholders) che si muovo sul teatro bosniaco (e di Sarajevo, in particolare). Ad esempio, partendo dalla dimensione macro, l’assetto istituzionale è un vero e proprio rompicapo post - Dayton (accordo firmato il 14 dicembre 1995) che organizza la Bosnia Erzegovina in due (e mezzo) unità co-costituenti: la prima, la federazione croato-musulmana che occupa il 51% del territorio ed ospita quasi il 60% della popolazione, la seconda, la Republika Srpska, come detto, la Repubblica Serba di Bosnia, che ne occupa il 49% del territorio e ne ospita quasi il 40% della popolazione e, infine, staccato da quest’ultima non senza aspetti controversi, sia dal punto di vista giuridico sia sotto il profilo territoriale, il cosiddetto “distretto autonomo” (in realtà facente parte dell’entità serba) di Brčko, reso autonomo non tanto per una questione di assetti territoriali od istituzionali, bensì, a quanto si apprende, “semplicemente” per impedire ai serbi il controllo separato dello spazio aereo nord-occidentale.

Link

balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Brcko-dieci-anni-dopo-75400


Un precario equilibrio

Se regge come Stato indipendente e attore della Comunità Internazionale (aspetto, peraltro, da non sottovalutare, considerate le devastazioni e le conseguenze del conflitto), la Bosnia Erzegovina, tuttavia, difficilmente sembra reggere come organismo (sociale, comunitario, istituzionale) unitario. Ciascuna delle due entità maggioritarie co-costituenti, infatti, ha un proprio Presidente (come testimonia, giusto per citare un esempio, il monumentale Palazzo Presidenziale a Banja Luka), proprio premier e propri ministri. Le funzioni amministrative, di sicurezza e di polizia, sono autonome, mentre presidenza e governo federale sono collegiali e la presidenza è assunta a turno e a rotazione (tra bosniaci musulmani, croati e serbi). Il che significa che, tra livello federale ed ambiti autonomi, come ci ricorda Mersiha, si conta qualcosa come 126 ministri (!): ad esempio, il governo federale, da solo, conta nove ministri, tre per ciascuna delle tre entità costituenti. Alla spasmodica cifra di 126 si arriva sommando le cariche ministeriali afferenti a tutti i diversi livelli della complessa ripartizione amministrativa del Paese, dal momento che le singole repubbliche sono articolate in distretti (cantoni) ed ogni distretto ha un suo consiglio ed una sua giunta autonomi. Una pletora, sostanzialmente burocratica ed inefficiente, davanti la quale non sai se fa premio l’applicazione di un'ingegneria istituzionale o la volontà di lasciare che, nella sostanza, tutto rimanga com’è, mascherando dietro la cortina istituzionale della composizione federale la volontà di continuare a vivere come dopo la guerra, da separati in casa.

Link

theguardian.com/global/2015/nov/10/bosnia-bitter-flawed-peace-deal-dayton-agreement-20-years-on


Una SWOT per la Bosnia

Mersiha consegna alla “Carovana di Pace” un quadro disincantato e interessante di quella che è la situazione reale della Bosnia Erzegovina e soprattutto ci offre alcuni spunti ed indicazioni utili sulle prospettive del Paese, nella direzione della trasformazione positiva del contesto post-conflitto locale, a partire soprattutto dai suoi punti di forza (strengths):

1) la ri-composizione della Bosnia Erzegovina come Stato e soggetto di diritto nell’ambito nella Comunità Internazionale;
2) la vigenza del principio di status quo come presupposto per una convivenza reciprocamente accettabile;
3) gli aspetti positivi dell’attivazione in termini di “community building” della società civile “internazionale”.

Il che, tuttavia, non significa nascondere i punti di debolezza (weakness), che non mancano e sono numerosi:

1) l’applicazione di una vera e propria alchimia istituzionale post-Dayton, frammentaria, alienante e respingente;
2) l’interpretazione di un post-Dayton agito in modo tale da consolidare la separazione istituzionale per linee etniche;
3) infine, la manifestazione di comportamenti istituzionali spesso ambigui, parassitari o contraddittori.

Link: wikipedia.org/wiki/SWOT_analysis
 


 
L’UTL di Sarajevo

Il giorno successivo, 14 Agosto, si tiene l’altro incontro, molto importante ai fini della “Carovana di Pace”, peraltro analogo a quello già sviluppato a Belgrado, con l’ufficio della UTL italiana a Sarajevo. L'UTL illustra alla nostra Carovana il carattere della Cooperazione Italiana nei Balcani Occidentali, in particolare, in Bosnia, dove sono in gestione tre tipi di progetti: a gestione diretta, promossi, vale a dire tramite le ONG accreditate secondo la normativa di riferimento sancita dalla legge 49/1987, e affidati, vale a dire dati in esecuzione ad Enti locali o periferici; il tutto attraverso le tre UTL della Cooperazione Italiana, Belgrado (per la Serbia e il Montenegro e, nelle more della propria autonomia, il Kosovo), appunto Sarajevo (per la Bosnia Erzegovina) e, più recentemente, Srebrenica, in considerazione del suo significato e della sua specificità. Le filiere progettuali, invece, sono due: la prima riguarda lo sviluppo rurale e del sistema delle Piccole e Medie Imprese (PMI), la seconda il re-inserimento scolastico e l’educazione pre-scolare dei minori, con particolare attenzione ai minori a rischio. Tra gli altri progetti, le iniziative socio-culturali a Mostar e la rivitalizzazione del centro storico di Srebrenica.


Specializzazione progettuale

Quanto all’impostazione del lavoro di cooperazione, pur con tutti i limiti portati dalla scarsità delle risorse destinate alla cooperazione e alla solidarietà internazionale e dalle ambiguità politiche che sovente impongono alla cooperazione condotte e logiche che le sono estranee, l’ufficio punta tutto sul “community building” e quindi ad includere nella propria progettazione tutte e tre le comunità costituenti, non solo le due maggioritarie, pur non avendo una progettazione specifica per il confidence building  e la ri-conciliazione. Tuttavia, nella sua aderenza al contesto, l’ufficio funziona talvolta come luogo “informale” per il counseling, essendo sovente le persone in bisogno di parlare e di sentirsi ascoltate e mancando progetti effettivi di integrazione psicosociale, ascolto e consulenza, de-traumatizzazione, di cui pure si avverte bisogno ed esigenza. Anche una progettazione specifica per la tutela del territorio e la salvaguardia dell’ecosistema, oltre che per il ciclo integrato dei rifiuti e l’applicazione del modello delle 3R (riciclo, riduzione, riuso), è considerata non più derogabile o rinviabile.



La macro-regionalizzazione economica

L'UTL illustra quell’alchimia geo - economica che è la recente ripartizione della Bosnia Erzegovina in cinque macro-regioni economiche che corrispondono ad altrettante agenzie di sviluppo: SERDA, NERDA, ARDA, REZ e REDAH. Esse sono organizzate in modo da essere trasversali e cross-cutting e costituiscono una rete per lo sviluppo locale che prevede tra gli stakeholder: Autorità locali, Comunità locali, Camere di commercio ed Associazioni di categoria, Istituti di ricerca e di formazione,  Organizzazioni per lo sviluppo locale,  ONG,  Società di servizi per il business, Sindacati. In altri termini, l’UE ha ripartito l’intero spazio produttivo federale senza tenere conto dei confini amministrativi tra le varie entità costituenti al fine di promuovere, per quanto con una soluzione verticale e dirigistica, gli scambi commerciali e la cooperazione economica, ma anche per garantire spazi per gli investimenti locali ed internazionali e per la transizione generale del sistema produttivo all’economia di mercato. Ora, per quanto la Comunità Internazionale sembri fortemente orientata a lavorare in tale direzione, essa viene registrata come l’ennesima imposizione dall’alto e fatica pertanto a decollare. Si avvertono ancora tracce dell’annoso e apparentemente insuperabile pregiudizio anti-serbo, ad esempio in relazione alla non-cooperazione o parziale cooperazione della Republika Srpska nel processo di innovazione istituzionale, nonché la segnalazione di alcune linee di tendenza consolidate della cooperazione istituzionale, che tende troppo spesso ad “esportare” modelli, soprattutto nei settori dello sviluppo delle PMI o della filiera della ICT, piuttosto che far emergere le
capacità locali.

Link: donoharm.info/downloads/level000/Seven_Steps_English.pdf


Sarajevo, capitale della cultura

Prima di lasciare Sarajevo, la “Carovana di Pace” ha il tempo di affrontare due tappe importanti del proprio itinerario, a cavallo tra promozione dei vettori culturali e sviluppo del processo di pace. La prima tappa è quella della Fiera del Libro, tradizionale rassegna estiva che si tiene nel centro della capitale, molto significativa ed interessante, perché lungo gli stand editoriali all’aperto offre uno spaccato significativo del panorama editoriale e culturale in voga. Se a Belgrado e Banja Luka colpivano i volumi, spesso affiancati, su Barack Obama e Vladimir Putin, oltre che di geopolitica e di critica (quando non di condanna) dell’azione di “certa” giustizia internazionale (ed in particolare dell’opera del Tribunale Penale Internazionale per i Crimini di Guerra in ex Jugoslavia), a Sarajevo si alternano letture turistiche e popolari a memorie del conflitto e dell’assedio recente, passando per una sempre più massiccia ed invadente presenza di testi religiosi e coranici, segno del progressivo e incessante condizionamento religioso ed islamico sulla vita civile e culturale del Paese.

Link: mysarajevoinfo.com/events/SUMMER-BOOK-FAIR-18-August-2009.cfm


Il Festival Internazionale del Cinema

Seconda ed ultima - non certo per importanza - tappa della “Carovana di Pace” nella capitale bosniaca è il Festival Internazionale del Cinema di Sarajevo, che ulteriormente, ogni anno, contribuisce ad aumentare la proiezione internazionale della (e sulla) Sarajevo d’Agosto. Il Festival, peraltro, costituisce una rassegna prestigiosa, tra le più quotate in assoluto: spazia tra film, documentari e produzioni emergenti, da tutta l’Europa ed il Vicino Oriente, con una importante presenza di pubblico locale ed internazionale. Assistiamo a due documentari di ottima fattura, scegliendo tra quelli che maggiormente possono colpire l’interesse della Carovana ed entrare in proficuo dialogo con la nostra missione di pace: “Fata Morgana” (produzione magiara/romena sull’unica donna, Elena, di un villaggio interamente popolato di uomini, nella Romania profonda, entro la quale si scatena un universo di rapporti sociali di impostazione contadina) e “Muezzin” (splendido, produzione turca/austriaca sul concorso annuale tra i muezzin di Turchia, la gara delle “call for prayer” che illustra tutto il significato arcano ed il messaggio profondo che questo esercizio spirituale, artistico e rituale, che si ripete, apparentemente uguale a sé stesso, cinque volte al giorno, viene ad assumere). Per la serie: come il linguaggio della cultura può unire popoli e valicare confini, attraversando barriere e costruendo ponti, proprio come nel messaggio di pace che ci lascia Alexander Langer. Indimenticabile, infine, l’incontro, suggestivo e prezioso, con il famoso cineasta bosniaco Meha Fehimovic, uno dei più importanti registi nella storia del cinema di Bosnia e della intera ex Jugoslavia, autore di famose produzioni ed importanti lavori con Alberto Lattuada, Silvana Mangano, Federico Fellini, il quale ci offre spunti, in una conversazione al caffè, per un’ulteriore riflessione sulla Bosnia che era, socialista ed egualitaria, e la Bosnia che c’è, dopo l’assedio e la violenza, il conflitto e la guerra.

Link: sff.ba


Sarajevo: viaggio nella memoria

Fare esplorazione nella memoria senza cedere al ricatto, al condizionamento e al disinganno del “turismo della memoria”, in una Bosnia sempre più consumistica e votata al “merchandising del dolore”, può risultare difficile e controverso. La “Carovana di Pace” prova ad affrontare questa contraddizione, affondando nelle memorie e nei vissuti collettivi di un popolo e delle comunità, senza cedere né al disincanto del cinismo né allo stereotipo del pre-confezionato. L’itinerario della memoria a Sarajevo si snoda così attraverso tre (i)stanze: l’intero team di Carovana condivide la visita al Mausoleo dell’Assedio, presso il cimitero islamico, nella zona delle Ambasciate d’Italia e di Francia. Dopodiché, il gruppo si separa: in due per andare, dopo un breve incontro “sulla strada” con i giovani scout del campo di pace dell’AGESCI alle porte di Sarajevo (il cosiddetto “Progetto Sarajevo”), nel quartiere-memoriale di Grbavica, uno degli scenari dei più violenti scontri a fuoco durante l’assedio, di fronte all’Holiday Inn, dalla parte opposta del fiume, uno dei più cruenti teatri della guerra, dell’assedio e del cecchinaggio (di cui, non casualmente, i palazzi limitrofi recano ancora i segni); in tre, simultaneamente, per andare invece al Memoriale del Tunnel (“Tuneli”), un tunnel quasi leggendario, scavato all’interno delle fondamenta di una casa privata, in modo da consentirne l’accesso, alla volta dell’unica collina dei dintorni che non era stata conquistata e presidiata dall’esercito serbo-bosniaco, allo scopo di consentire il passaggio dei feriti ed il transito dei viveri durante l’assedio. Luogo di memoria, dunque, e di dolore.

Link: progettosarajevo.org
 


 
Il Treno delle Rose

Il viaggio da Sarajevo a Mostar, ultima tappa, prima di quella extra verso Dubrovnik, e poi per il ritorno rispettivamente ad Ancona e Bari, consente alla “Carovana di Pace” un’immersione nella “Bosnia profonda”, fatta di vallate verdi ed impervie, lungo il corso della Neretva, fiume di miti e di leggende, che si costeggia con il celebre “Treno delle Rose”: appunto, il rapido Sarajevo – Mostar delle 7.26. E’ Ferragosto, alla volta dell’ennesimo, importante, appuntamento della nostra Carovana, stavolta con Hamica Nametak, già Direttore del “Teatro dei Burattini” e del “Teatro della Gioventù” di Mostar e, tra le altre cose, vincitore del premio “Pulcinella d’oro”, secondo artista di teatro dell’intera Bosnia a conseguire l’ambito riconoscimento. In Italia come in Bosnia, infatti, la tradizione delle marionette e dei burattini ha costituito una parte fondante della cultura teatrale ed il premio "Pulcinella d' oro",  ideato dalla Casa di Pulcinella nel 1990, è nato proprio con l' intenzione di ribadirne la valenza internazionale. La sua storia è esemplare, come la sua carriera: è membro di ULIMA, l’Associazione Internazionale dei Teatri dei Burattini, artefice del cosiddetto Teatro Forum della Neretva, il fiume delle leggende e delle fiabe, nonché costruttore di interessanti sperimentazioni di Teatro dell’Oppresso nei luoghi del conflitto tra la Serbia, la Croazia e la Bosnia. 
 
In questo senso, il suo back-ground e la sua expertise possono costituire una risorsa preziosa: non a caso la giornata nazionale del progetto Info-EaS, dedicato agli “Interventi Civili di Pace”, tenuta a Castelvolturno, il 19 giugno, nell’ambito del progetto dei Campi di Studio e di Lavoro per “Servizio Civile di Pace” degli Operatori di Pace – Campania, si è sviluppata attorno ad una rappresentazione di Teatro dell’ Oppresso dal titolo “Volontari di Pace nella Guerra Umanitaria”, tale essendo la connotazione e la esemplarità dello strumento del teatro-forum nella rappresentazione ed elaborazione delle istanze cognitive ed emotive proprie della comunicazione costruttiva, trasformativa, nonviolenta.

Link: balkanology.com/overview/article_scenicrailways.html


Una carriera esemplare

Il “Teatro delle Marionette” a Mostar è stato fondato nella stagione 1962/1963 ed è andato avanti, con brevi interruzioni, fino al 1985. Durante la guerra del 1992-1995, il lavoro di Hamica Nametak e del suo “Teatro delle Marionette” si è ulteriormente arricchito e sviluppato con laboratori di marionette e burattini organizzati dai e per i giovani, nonché per i rifugiati rimasti in Slovenia ed in Italia. La Croazia, la Slovenia e l’Italia sono infatti tappe importanti della esperienza, umana e culturale, “di pace” di Hamica Nametak. In Italia, è venuto in connessione con burattinai italiani e con i giovani italiani e profughi della Bosnia. Il suo rientro a Mostar risale all’indomani della guerra, il 1995. Dal 1996 al 2000 è direttore del “Teatro delle Marionette”. Con Dubravko Zrncic - Kulenovic, Marko Kovacevic, Safet Plakalom e Ljubica Ostojic è fondatore della
Scuola di Teatro di Burattini di Sarajevo - Mostar”. Nell’occasione dell’ottavo Congresso del “Teatro dei Burattini” di Bosnia ed Erzegovina, tenutosi a Bugojno nel 1978, ha ricevuto il Premio della Giuria per il ruolo del medico ufficiale in Paz Cesare di Joseph Palade. Per lo stesso ruolo ha poi ricevuto il premio dell'Associazione degli Artisti Drammatici della Bosnia-Erzegovina. A Bari ha ricevuto, come detto, il premio “Pulcinella d'oro” e ha sviluppato, in particolare a Napoli, alcune importanti collaborazioni, tra cui quella con Laura Angiulli con il Teatro “Galleria Toledo” e il “Napoli Teatro Festival Italia”, prestigiosa rassegna teatrale internazionale. Tredici le produzioni da lui curate o co - curate. Insomma, un  artista e un “teatrante di pace” prestigioso, il cui incontro è così importante per la nostra Carovana di Pace.

Link: polumo.com/umjetnicki_ansambl.htm


La valle della Neretva, terra di miti e di leggende

La Neretva scorre lungo la strada che collega Sarajevo a Mostar. Oltre alle due città e al loro indiscutibile prestigio, storico e culturale, vale la pena dedicare una riflessione alla valle che abbraccia il fiume, dislocata tra Sarajevo e Mostar: terra di miti e di leggende. Nell’andare della “Carovana di Pace” alla ricerca anche di luoghi incontaminati, lontani dai ritmi frenetici della città capitalistica e al di fuori dei più tradizionali circuiti turistici, non si è potuta perdere l'occasione di avventurarsi all'interno della valle per scoprirne le meravigliose montagne ricoperte di boschi e le gole profonde percorse dal fiume durante la sua corsa verso il mare. Il colore smeraldo della Neretva è incantevole e ha certamente concorso ad alimentarne la fama ed il mito, come i paesaggi naturalistici, i laghi alpini, le cascate e la ricca varietà di flora e fauna che caratterizzano la regione. La Neretva, con i suoi 228 chilometri, è il principale fiume dell'Erzegovina e nasce nelle Alpi Dinariche presso Jabuka (80 chilometri a sud di Sarajevo). Dopo avere attraversato canyon ripidi e imponenti - che si possono ammirare lungo il percorso del “Treno delle Rose” - ed aver raggiunto la valle principale a Konjic, scorre con maggiore dolcezza per circa 100 chilometri in direzione nord-ovest, raggiungendo la città di Mostar dove passa sotto il celebre Stari Most - il ponte vecchio, a schiena d’asino, costruito fra le due rive del fiume nel 1566 dal sultano Solimano il Magnifico, distrutto nel 1993 dall’aggressione croata, ed oggi completamente ricostruito grazie all’azione della solidarietà internazionale. 



Oltre Mostar
 
Una volta attraversata la città vecchia di Mostar, la Neretva costeggia Počitelj, incantevole cittadina di epoca ottomana. La spettacolare sorgente del fiume Buna è la più grande in Europa per quantità di acqua alla fonte, con la bellissima Casa dei Dervisci costruita proprio a ridosso della sorgente, ennesima meraviglia naturalistica e culturale.  Poi, verso Jablanica, il fiume modifica il proprio corso e si dirige verso sud, bagnando le terre della Croazia e sfociando nell'Adriatico in un delta presso Ploče. Nell'area del delta, la Neretva lambisce il parco naturale di Hutovo Blato: un prezioso concentrato di rarità biologiche. Questo parco naturale, unico dell'Erzegovina, è popolato da infinte specie di uccelli, piante e pesci, ed è caratterizzato da una fitta rete idrografica che dà vita a molteplici sistemi lacustri. Infinite, dunque, le opportunità turistiche e ricreative che il Parco offre ai viaggiatori: se ecologia e pace, cura dell’ambiente e del territorio e armonizzazione delle strutture e dei rapporti inter-comunitari, devono camminare insieme, questo è davvero il luogo ideale in cui sperimentare questa “contaminazione”.

Link: viaggiareibalcani.it


Convergenze e collaborazioni

Il contatto che la “Carovana di Pace” instaura con Hamica Nametak è significativo per tre ordini di ragioni:

1) la possibilità di sviluppare itinerari di pace nell’ambito del Teatro Forum e del Teatro Sociale, sia nella forma del “Teatro di Pace” propriamente detto, come luogo di confronto e di discussione tra giovani sensibili alle istanze ed alle tematiche della pace, della nonviolenza e della riconciliazione, sia nella forma del Teatro dell’Oppresso, in quanto istanza di sublimazione del dolore collettivo, di catarsi sociale e, in definitiva, di elaborazione collettiva del nesso perdono-giustizia, colpa-pena, torto-riparazione;

2) la possibilità di costruire nuovi itinerari nell’ambito del Teatro Educativo, anche sulle sfondo delle
lezioni apprese (lessons learned) nel contesto di alcune tra le migliori attivazioni istituzionali promosse dalla Regione Campania, quali il programma regionale delle Scuole Aperte, l’esperienza pilota dei “Teatri della Legalità” e la stessa programmazione inerente gli scambi internazionali; infine

3) la possibilità di costruire ulteriori partenariati, sia nell' ambito di programmazione locale sia nel quadro della cooperazione internazionale, ad es. per quanto concerne l’implementazione del progetto di “Laboratorio Giovanile di Arte Drammatica” (il Laboratorio si terrà nella primavera/estate 2010, a partire dal mese di aprile per terminare con il mese di settembre, a Konice, in Bosnia Erzegovina) o la sperimentazione del “Festival dei Teatri dei Burattini di Bosnia” (Bugojno) che dal 2010 attiverà interessanti sinergie e gemellaggi in tutta la ex Jugoslavia, ma anche, infine, nelle risorse-quadro dei programmi dedicati.

Link: wikipedia.org/wiki/Puppet_Theatre_Mostar
 


 
Rientro e Considerazioni

Alla fine del suo emozionante itinerario, la “Carovana di Pace” rientra in Italia …  nel modo, creativo ed originale, che ne aveva analogamente caratterizzato gli esordi e gli sviluppi: in due rientrando il giorno 15 Agosto da Split, facendo rotta navale verso Ancona, ed in tre rientrando dopo alcuni giorni di ulteriore sedimentazione, il 17 Agosto, da Dubrovnik, facendo rotta, stavolta, verso Bari, attraversando, in tempi e in forme diverse, una costa dalmata (Croazia) dall’aspetto sconvolgente, butterata da investimenti turistici e speculazioni edilizie e piratescamente attraversata dal turismo mainstreaming e di massa. Il viaggio in nave per il rientro diventa così l’occasione, in due turni, e prima dell’appuntamento di sedimentazione finale, organizzato, a settembre, a Napoli, per un bilancio orientativo, nel quale compendiare sia una prima valutazione dei punti di forza e di debolezza dell’implementazione, sia una ricognizione in ordine alla connotazione e alla fungibilità del nostro “contact-building”, funzionale alla creazione di reti solidali di affinità ed orientato all’insediamento di servizi civili di pace locali, in grado di lavorare per la pace, la nonviolenza e la riconciliazione nei micro-contesti di riferimento. 


Certamente, la “Carovana di Pace nei Balcani” ha concluso con successo sia il suo itinerario di conoscenza (assessment ricognitivo)  sia la sua rete di contatti per future collaborazioni e per l’insediamento locale di programmi di confidence building. In tal senso, se un punto di debolezza può essere individuato nella esiguità del tempo a disposizione per poter approfondire i singoli articoli del crono-programma, altrettanto sicuramente rinveniamo un punto di forza nella qualità e nella trasferibilità dei contatti, che possono concorrere a sedimentare le buone prassi intraprese e ad alimentare ipotesi progettuali anche nei contesti di provenienza (consideriamo le attivazioni plausibili, a Napoli ed in Italia, nell’ambito dell’educazione alla pace e della promozione sociale sui temi in questione). Tutto ciò ha consentito, grazie al supporto dell’Assessorato alla Formazione, Istruzione e Lavoro della Regione Campania, nell’ambito della legge regionale per gli scambi culturali internazionali, al personale impegnato di accumulare un importante patrimonio di conoscenze e di approfondire il proprio background di competenze, utili sia per un ulteriore affinamento del profilo professionale destinato alle missioni di solidarietà e cooperazione internazionale, sia per nuove, positive, applicazioni nel campo, così ampio ed affascinante, del cosiddetto Intervento Civile di Pace.